domenica 3 luglio 2016

Geografia degli umori


Illustrazione di Anna Godeassi

Cammino sulle strisce della grande piazza simbolo della magia bianca, io a queste cose non ci credo, ma me ne ricordo ogni volta che transito. L’omino del semaforo sosta con le braccia lungo il corpo, è rosso come il ciclo mensile che mi piega il tronco a metà. Mi fa male la schiena, il basso ventre pulsa a battiti regolari, ogni tanto i quadricipidi s’infiammano fino dietro alle ginocchia, è da un pò che mi è tornato il menarca doloroso e abbondante, chissà per quale motivo.
Giro il volto a destra, una macchina imbocca la carreggiata e romba veloce, le mie mandibole serrano ancora di più la stretta, sono le 13, avevo promesso a Paola che sarei stata puntuale alla mezza per pranzo, do un’occhiata veloce e attraverso.
Accelero il passo e mi viene in mente che devo andare a comprare un litro di latte di cocco dopo pranzo, recuperare il materiale per il volontariato all’associazione e filare in via Genè alle quattro. Sono già in ritardo, non ce la farò mai, forse posso arrivare alle quattro e trenta, ma non oltre, corro, mi dimentico di respirare, entro in affanno, la testa inizia a pesare dalla base del collo. Bisogno di sdraiarmi, l’unico rimedio per fare una pausa è appoggiare la schiena a terra, posizione supina, palmi verso l’alto, respiro profondo.
Dicono che col respiro profondo la testa inizi a rallentare, I pensieri si facciano radi e l’allarme rientri, io ci riseco solo a casa, da sola senza impegni per I due giorni successivi.

Ricevo una mail, domani supplenza di quattro ore. Quattro ore con la stessa classe, livello A2 di italiano, falsi principianti, questi parlano, ma non troppo, non so come impostare la lezione, dev’essere articolata. Un motorino sfreccia proprio mentre svolto in corso Palestro, il rumore assordante aumenta la voce del mio paziente interiore. Non ho energie, mi sento debole, irrigidisco le spalle per far finta di niente e andare avanti, quella signora seria che mi guarda distratta non sa della mia croce.

Sono in ritardo, il latte di cocco, il volontariato, stare con altre persone per almeno due ore, ma ora devo camminare in questa città odiosa dove nessuno rispetta I rossi e la gente suona il clacson ad ogni minuto. La supplenza, la testa mi scoppia, devo distendermi.
Sicuramente con Paola ci metteremo a parlare, non ho voglia di tirar fuori nulla da me, mi vien male solo al pensiero di dover ascoltare voci esterne al mio malato che tanto parla sopra agli altri, mi distoglie dai dialoghi e finisco per far delle grandi figure di merda perché la gente pensa che non la seguo.
Giungo al portone, suono il campanello Rossi, mi apre subito, quarto piano, un’odore di tagliolini ai funghi fuoriesce furtivo dall’ingresso, scende venendomi incontro, indovino ad ogni scalino il menù: frittata di zucchine, tagliolini ai porcini con una buona dose di aglio e prezzemolo e insalata, quella c’è sempre.

Arrivo alla porta con un pò di fiatone, poco, questo malessere mi da energie da vendere sotto sforzo, anche se mi strema appena mi fermo. Mi gira la testa, Paola mi abbraccia, annuso la piega appena fatta, ogni boccolo biondo sa di agrumi dolci, misto a spuma per fissare l’antigravità.
Appoggio la borsa a terra in ingresso, mi levo le scarpe e transito verso la cucina, guardo con bramosìa il letto che spesso mi ospita, è tardi, non posso sdraiarmi nemmeno un secondo. Cavità oculari, mandibole, gengive, muscoli cervicali, lingua: tutti spingono verso la sommità della bocca stringendo tra I denti un’invisibile dolore senza ha forma.
Dicono che si chiami ansia, io di quella roba non ne ho mai avuta.

-Come stai?
- Abbastanza bene, mi sento debole. Tu?
Butto un occhio ai fornelli ricoperti di pentole, non ho molta fame, devo dribblare tra una pietanza e l’altra, cercando di essere ferrea.
-Paola, gratto il formaggio?
- Si Chicca grazie!
- Sono andata a fare le solite commissioni, sempre di fretta.
Cucina con le unghie appena sfornate, un gel liscio trasparente a brillantini rosa che cambia il riflesso a seconda di come muove le mani. Paola brilla e mi vede un pò giù. Già lo so, non me lo chiede il perché.
- Hai sentito la pestifera? - Continua con non chalance
- No, non la sento da un pò, ma non ti preoccupare, laggiù la connessione va e non va, poi sai che tua figlia è una selvaggia. Va tutto bene.
- Non ho sue notizie da una settimana, non può comportarsi così.
In silenzio penso che in questo momento la mia amica dall’altra parte del mondo non esiste, che la sua preoccupazione non esiste, vedo solo una palla gigante che sosta sul mio stomaco e io non so cosa fare. Non ho un cavolo di soldi, pochi impegni, sono preoccupata, la testa mi scoppia e devo parlare, rispondere, sorridere, essere, quando vorrei solo svitarmi la testa e andare in camera mia.

Peccato che non ho una camera mia.
Vivo dagli altri, perché non riesco nemmeno a pagarmi un affitto e gli altri, sono delle persone che mi amano e mi conoscono e sanno benissimo che faccio tutta questa fatica. Non mi chiedono niente in cambio e io penso solo di essere un peso.

Mentre è girata a scolare la pasta guardo fuori, c’è un tempo indefinibile, bianco, freddo, poco accogliente. Mi domando perché sono ancora lì, in quella città che da un anno e mezzo mi fa sclerare.
- Chicca è pronto, passami il piatto.
Le porgo il piatto piano arancione, quel colore, come il fatto di sapere che c’è Paola, mi mette calma, anche se in questo momento vorrei rinchiudermi al buio.
-Senti Chicca uno di questi giorni potremmo uscire assieme, magari vediamo due negozi, a Natale non ti ho nemmeno fatto il regalo.
- Si vediamo, magari sabato se non vado in gita in montagna.
-Fammelo sapere per tempo così mi organizzo.

Il latte di cocco, il materiale, l’associazione, le strade pericolose, fa freddo, la supplenza, lo shopping, I muscoli sotto le orecchie responsabili dell’apertura della bocca effettuano un altro giro di vite, le labbra si stringono in una smorfia seria, gli occhi si sforzano di stare aperti. Faccio un respiro, allento di due giri la stretta e ficco in bocca un altra forchettata di tagliolini. Sono ottimi! Lo stomaco è stretto al fronte, stasera avrò una patina bianca sulla lingua e dovrò saltar la cena. Non ce la faccio più. Me ne devo andare.

Andare dalla mia paura di non essere valore, occhi tesi.
Andare dal collo in fiamme, risposta inesorabile al timore di non farcela.
Andare via dalla mia incapacità di mettere tre parole in fila, sfiducia estrema nelle mie capacità.
Scappare dall’impossibilità di trovare lavoro in questo cazzo di posto, spalle ricurve, gola pesante.
Volatilizzarmi dalle mandibole trincerate, chiusura verso nuove possibilità, senso di sfiducia estremo.
Fuggire dalla mia assurda assenza di energie, io sportiva, creativa, inesauribile fonte di idee e scenari impensabili.
Sono qui, a millimetri da me, senza la voglia di vivere il mio dolore e il desiderio di superarlo.


Attendo novità.

giovedì 7 gennaio 2016

Come miele


Bucando le celle reali non ci sarà nessuna nuova regina. Le api non sciamano facendo perdere il raccolto di miele all'allevatore. E' cruento. Impedisce alle bottinatrici di partire per l'evoluzione dell'esistere.

Ogni cucchiano di miele acquistato contiene questa violenza. Esistenze bloccate, per un nettare che cura la voce, la gola ed il bisogno esistenziale di dolcezza.

Oggi scelgo il miele. Mi comporometto.

Il compromesso di esistere secondo le esigenze di una vita reale. Fatta di gesti controvoglia, rumori assordanti, colori cupi intervallati da sorrisi smaglianti, fili d'erba che bucano il cemento e risorse utili a spingermi altrove.

E' un sacrificio. Si, rendo sacro ciò che per me porta valore, relego al rango di subalterno il giogo del mio piacere ideale. Non esiste azione senza reazione. Scelta senza danno. Vita senza morte.

Scelgo di fare senza trattenere. perché l'agire combina di bene e male. Pensiero è la scomposizione dei due.

Vita come accettazione del compromesso, mi sento "tutto", zona fosca fatta di opposti.

Vita/ morte sono il mio inizio, la mia fine, dissoluzione dell'io affinché il tutto possa esistere.

Assaporo il miele e chi, in me, ha generato questi pensieri. Siamo contaminazione.

mercoledì 2 settembre 2015

Ai viandanti claudicanti

opera di Sofia Rondelli

Tu, viandante dell'universo
che attraversi la vita come una meteora,
non rendere vana la tua caduta nel vuoto
non giungere nulla nel nulla
ma dai un senso alla tua effimera presenza
in questa effimera realtà
coltivando la più sublime delle realizzazioni
e la meta più alta della Coscienza
che rende grande la Materia:
l'amore attraverso il non attaccamento.
Un buddha è dentro di te:
fallo crescere fino a diventare
un'altra sua incarnazione.
Nell'eterno fluire dal nulla al nulla
fà che fra un nulla e l'altro
la Coscienza e l'Amore
prendano il loro posto nell'evoluzione
di questo universo.

martedì 23 giugno 2015







 

Delle volte non servono tante parole, basta un gesto per sentirsi accolti

mercoledì 17 giugno 2015

Cos'è la poesia?

 

"Cos'è la poesia?" domandò il monaco .
"E' un mistero ineffabile" rispose Yuko.
Un mattina il rumore della brocca dell'acqua che si spacca fa germogliare una goccia di poesia, risveglia l'animo e gli conferisce la sua bellezza.

E' il momento di dire l'indicibile.
E' il momento di viaggiare senza muoversi.
E' il momento di diventare poeti.

Non abbellire niente. Non parlare. Guardare e scrivere. Con poche parole. Diciassette sillabe.
Un Haiku.

(Maxence Fermine)

Leggera bruma
avvolge il mio corpo,
tenue torpore